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UNA DEGENZA IN OSPEDALE

L'esperienza di una breve degenza in ospedale, fa riflettere su come i bambini debbano essere protetti e contenuti nelle situazioni difficili.

(mamma Chiara)

La mia bambina di 17 mesi è stata ricoverata 3 giorni all'Ospedale infantile Regina Margherita di Torino, a causa di una influenza che le ha dato febbre alta e una massiccia vasodilatazione dei capillari, che le ha reso mani, piedi e labbra blu.

Erano i giorni di festa per Pasqua e i pediatri non erano in servizio, quindi ci siamo rivolti al pronto soccorso.

E' stata un'esperienza dura ma formativa, per questo la racconto, perché può servire di esempio.

Innanzi tutto, al pronto soccorso non abbiamo avuto informazioni in merito al colorito bluastro (che era già scomparso durante il tragitto in auto verso l'ospedale). Ho saputo poi che era semplicemente la reazione all'innalzamento brusco della temperatura, che aveva provocato una rapida e massiccia vasodilatazione dei capillari. In questi casi, mi ha poi riferito la nostra pediatra di base, non è necessario allarmarsi ma è bene mettere del ghiaccio in testa al bambino, per far scendere la temperatura.

L'unica informazione che ho avuto è stata che mia figlia era ricoverata.

I tre giorni di ospedale sono stati duri purchè l'ambiente che ha accolto Virginia non era a misura di bambino per la modalità in cui vengono svolte tutte le operazioni di routine nel reparto.

Per l'iniezione di antibiotici, per il fissaggio del cateterino per raccogliere le urine, per il prelievo del sangue, ho dovuto tenere io immobilizzata la bambina, quando sarebbe stato molto meglio per me e per lei, che questo lo facesse un'infermiera, mentre io potessi così accarezzare e consolare mia figlia.

Per la visita dei medici invece ho dovuto uscire dalla stanza.

La dinamica è questa: sei nella stanza con la bimba in braccio, entrano 4 dottori e 2 infermiere, tu devi lasciare a loro la bambina e andartene fuori.

Virginia, a 17 mesi, era abbastanza grande per vivere questa visita come un abbandono da parte della mamma e una violenza da parte dei medici, adulti che lei non aveva mai visto; ma era anche troppo piccola per poter ragionare e comprendere che i medici non volevano farle del male, ma piuttosto guarirla per farla tornare a casa.

L'ambiente ospedaliero non è un posto piacevole di per sé, purché il bambino è sradicato dal suo ambiente familiare, è sottoposto a visite ed esami e deve sottostare a ritmi rigidi (sveglia alle 7.00 anche se non ha riposato bene nella notte, alle 8.00 via dalla stanza purché rifanno i letti anche se non ha finito colazione, cena alle 18.00 anche se nel pomeriggio ha dormito un po' di più e quindi ha fatto merenda tardi,...).

Oltre a questi ritmi che l'organizzazione dell'ospedale impone, c'è l'aggravante di queste visite svolte con una modalità violenta.

Violenta nel senso che al bambino di qualsiasi età non è concesso stare con il genitore, ed è frettolosamente visitato da una squadra di adulti vestiti di un bianco "poco rassicurante".

Io, impreparata a questa prassi, non ho avuto la prontezza di parlare a mia figlia di quello che stava per succedere e di cercare di rassicurala dicendole che i medici non sono cattivi, le daranno fastidio ma la faranno guarire e che la mamma la aspetta fuori dalla stanza perchè i medici non vogliono che lei stia vicino.

Ho cercato di adeguarmi alla prassi con più naturalezza possibile, senza mostrarmi agitata o angosciata, per non spaventare ulteriormente la bambina: il messaggio che volevo trasmetterle era << stai tranquilla perchè la mamma è tranquilla e non c'è motivo di avere paura >>.

Dopo la visita e per tutto il periodo di degenza e poi ancora i primi giorni a casa ho massaggiato molto mia figlia, con la tecnica di massaggio infantile; la massaggiavo anche mentre dormiva, per contrastare le sensazioni corporee spiacevoli che aveva provato, attraverso delle sensazioni piacevoli, che fin dai primi mesi era abituata a sentire.

Inoltre in ospedale ho cercato di concentrare la sua attenzione sulla "bibi" che aveva su un ditino (un piccolo taglietto) per cui mettevamo un cerottino, davamo un bacio e il male lì era sconfitto. In questo modo speravo che accettasse meglio anche tutto il resto.

Nei giorni successivi al rientro a casa, mia figlia era molto nervosa e aggressiva, inoltre scoppiava a piangere non appena si avvicinava un adulto che lei non conoscesse già bene.

Per aiutarla a superare il trauma dovuto a questa esperienza negativa, fin dai primi giorni a casa le ho ricordato i suoi due piccoli compagni di stanza e le ho parlato dell'elicottero che vedevamo atterrare di fianco all'ospedale e che la incuriosiva molto. In questo modo incominciavamo a parlare degli aspetti piacevoli della vicenda e a dare una cornice positiva ai ricordi.

Una decina di giorni dopo il rientro a casa, avevamo passato una piacevolissima serata tutti e tre, mamma, papà e Virginia e lei si era addormentata felice e particolarmente rilassata.

Dopo qualche ora di sonno si è svegliata e ha incominciato a piangere disperata, e né la musica né il tenerla in braccio la calmavano. Quello che l'ha fatta smettere è stata una mia domanda << hai paura? >>.

Le ho spiegato quello che avrei voluto dirle prima delle visite in ospedale: che sicuramente è stato fastidioso per lei, ma che i medici sono buoni perchè curano i bambini e che la mamma non l'ha abbandonata, semplicemente l'aspettava fuori dalla stanza, perchè quelle sono le regole in ospedale.

Improvvisamente si è rilassata e si è addormentata. Un primo passo verso il superamento di questa brutta avventura.





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